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Sanità dell'alveare

Probiotici e prebiotici del commercio: utili o dannosi per combattere Nosema ceranae?

15 ottobre 2015

nosemaUn gruppo di ricerca dell’Università di Lublin (Polonia) ha pubblicato su Parasitology Research un lavoro con cui sono stati indagati gli effetti della somministrazione di Lactobacillus rhamnosus, un probiotico comunemente utilizzato nell’uomo, e del prebiotico inulina sullo sviluppo della nosemosi di tipo C (quella sostenuta da Nosema ceranae), da cui risulta che la somministrazione del lattobacillo amplifica l’infezione da parte del microsporidio.

La somministrazione di probiotici alle api sembra essere una pratica piuttosto di moda a giudicare dal numero di prodotti che stanno giungendo sul mercato ma i dati sugli effetti della supplementazione sono pochi e contradditori: secondo la bibliografia citata dagli autori dello studio alcuni probiotici hanno migliorato la crescita delle famiglie e la produzione di miele, altri hanno aumentato la mortalità delle api. Gli autori hanno pertanto verificato in laboratorio gli effetti della supplementazione sull’attività dell’ezima fenolossidasi, un elemento dell’immunità innata delle api, e sullo sviluppo di Nosema ceranae (in seguito all’infezione sperimentale).

Diversi gruppi di api giovani sono state nutrite in laboratorio con semplice sciroppo (testimone), sciroppo con inulina, sciroppo con probiotico e sciroppo con probiotico e inulina. Il risultato è stato che il probiotico e soprattutto il probiotico con l’inulina hanno aumentato drasticamente la mortalità delle api, mentre la sola inulina non ha alterato la mortalità rispetto al testimone. Nei gruppi in cui è stato somministrato il probiotico inoltre si è registrato il dimezzamento dell’attività della fenolossidasi, cui si somma la riduzione ad un ventesimo dell’attività dell’enzima per effetto dell’infezione con N. ceranae. Il gruppo in cui si è registrata la minor attività della fenolossidasi è quello esposto al L. rhamnosus, all’inulina e a N. ceranae. Un altro effetto negativo del probiotico, associato o meno con il prebiotico, è stata la rapidissima ed enorme proliferazione del microsporidio: mentre nel gruppo nutrito con solo sciroppo in seguito all’infezione sperimentale le spore hanno raggiunto il numero -ragguardevole- di 38 milioni, nei gruppi supplementati con lattobacillo e lattobacillo e inulina rispettivamente 970 e 980 milioni.

La supposizione che la colonizzazione del tratto intestinale da parte dei lattobacilli potesse inibire lo sviluppo del nosema tramite la competizione per i siti di legame e per i nutrienti nonché tramite la modulazione della risposta immunitaria si è rivelata errate: le api sottoposte a supplementazione sono risultate molto più suscettibili all’infezione da N. ceranae ed il numero di microsporidi in quelle api è risultato altissimo.

E’ possile che l’acido lattico prodotto da L. rhamnosus possa aver aumentato l’acidità e causato la degenerazione della parete intestinale creando condizioni favorevoli all’insediamento del microsporidio.

La conclusione è che i microorganismi selezionati come probiotici commerciali sono altamente resistenti e possono facilmente proliferare nell’intestino delle api escludendo i simbionti naturali. L’alterazione del microbioma naturale delle api può ridurre l’assorbimento di nutrienti e portare alla malnutrizione delle api e alla degenerazione delle membrane peritrofiche degli intestini che sono la prima linea di difesa dalla penetrazione dei patogeni. Studi del microbioma delle api hanno evidenziato diversi lattobacilli intestinali, per cui probabilmente alcuni lattobacilli possono essere considerati dei probiotici. La supplementazione con ceppi impropri può però alterare la composizione della flora intestinale , che è fondamentale per il mantenimento dell’omeostasi a livello di intestino. Inoltre può agire negativamente sul sistema immunitario e, di conseguenza, promuovere le infezioni e aumentare la mortalità delle api.

Il lavoro fornisce risultati sicuramente interessanti, ma bisogna tener conto del fatto che la prova eseguita in laboratorio su api ingabbiate potrebbe essere un modello troppo riduttivo di ciò che avviene in una colonia esposta all’interazione con una flora batterica e fungina ben più ricca, pertanto sarebbe interessante che le stesse supplementazioni fossero somministrate a famiglie di api per verificare se gli effetti si confermano in una situazione più realistica.

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