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Cinque continenti in una stanza

di Paolo Faccioli

Il bello e l’utile di incontrarsi a Terra Madre

CINQUE CONTINENTI IN UNA STANZA

E’ la cerimonia di chiusura di Terra Madre, l’atmosfera è carica di energia e solennità. Sul palco sono seduti Vandana Shiva, Carlo Petrini, Serge Latouche e gli altri autori di quello che diventerà  il Manifesto di Terra Madre. Ma ecco che all’improvviso una ragazza irrompe sul palco con un megafono.Con la stridula sonorità del megafono grida la sua indignazione per quella che chiama una strage di animali, quella che è servita a riempire per giorni le cucine e i piatti del Salone del Gusto. Grida la ragazza che gli animali esistono uno a uno, che è uno scandalo pensarli come una massa da mandare al massacro.

Un suo compagno, che ha fatto insieme a lei irruzione  sul palco travestito da maiale insanguinato,  mima drammaticamente l’abbattimento lasciandosi cadere per terra. Non so quanti possano essere d’accordo con la ragazza (e infatti partono fischi dai più carnivori), ma una cosa è certa, e me l’ha fatta notare proprio il mio amico Andrea Paternoster di Mieli Thun, che di certo vegetariano non è: il miele che arriva sulla nostra tavola ha una storia solo  gioiosa. La storia di una bistecca, di un prosciutto, ha comunque un lato triste (almeno per  la mucca o il maiale abbattuti).

Ed è questa intrinseca gioiosità del nostro lavoro che ha fatto da contrappunto ai tre giorni di Terra Madre, il grande appuntamento delle comunità di produttori di cibo del mondo: sia all’Honey Bar, dove venivano offerti e insegnati a capire mieli portatici da produttori di tutti i paesi, sia nello “Spazio degli Apicoltori”, una saletta che, come UNAAPI, abbiamo tanto insistito con Slowfood per avere. Nelle edizioni precedenti di Terra Madre gli apicoltori vagavano nell’immensità dell’Oval del Lingotto potendo incontrarsi e riconoscersi quasi solo per caso (o partecipando alla conferenza ufficiale della durata di un’ora, sempre affollata ma troppo formale ed episodica). Questa volta hanno avuto uno spazio dedicato dove fare la conoscenza, parlarsi guardandosi negli occhi, ma anche avere in prestito un computer e un collegamento a internet, scambiarsi dischetti e materiali sulle chiavette USB. E qualche volta perfino poter fare un pisolino in un angolo, lasciare in custodia un pacco o una valigia, chiacchierare spensieratamente con amici apicoltori in tutte le lingue, irrompere con un vassoio di bicchierini di caffè da offrire a tutti… Peter, un apicoltore inglese, e Bisi, un’apicoltrice nigeriana che risiede parte dell’anno in Inghilterra, hanno scoperto proprio in quella stanza di avere sempre abitato a pochi isolati di distanza nello stesso quartiere di Londra e di aver persino frequentato la stessa associazione locale  di apicoltori.

Avevamo organizzato anche qualche incontro a tema, per approfondire argomenti di interesse comune, e delle “interviste aperte” dove un apicoltore potesse raccontare la sua storia, il suo paese, mentre chiunque fosse interessato poteva ascoltare e chiedergli di più (e Giovanni Guido, con la sua macchina fotografica, coglieva intanto le espressioni dei volti). Ma è stata la presenza stessa di quello  spazio a fare il piccolo miracolo, questo incessante susseguirsi e sovrapporsi di contatti e incontri.  Quanto all’Honey Bar, a chiunque entrasse all’Oval avrei potuto spiegare dov’era semplicemente dicendogli di dirigersi verso il banco più affollato.
Da uno degli incontri a tema è partita l’idea di una mailing list per tenersi in contatto su tutto quello che produrrà nei diversi paesi la ricerca in tema di pesticidi e di OGM, e anche per condividere le esperienze degli apicoltori in proposito: un primo passo per internazionalizzare la risposta ai nostri problemi comuni. Elizabeth, un’inglese che promuove in Kossovo progetti legati alle donne e all’apicoltura, ha già creato un gruppo di Facebook per la discussione su questo tema.
Molte storie di apicolture diverse, racchiuse in ore di registrazione, compariranno sul sito di UNAAPI, perché non solo noi che eravamo là possiamo sapere della timidissima, spaurita Alicia, che non era mai uscita dal suo villaggio di contadini a El Salvador, e si è ritrovata frastornata e stupita nell’immenso calderone di razze, costumi e lingue di Terra Madre. Di Karlene e Terry, apicoltori neozelandesi, professionali  a tutti gli effetti, ma “slow” di concezione, che si sentono isolati nel loro paese, dove il modello dominante è quello americano-industriale, e c’è voluta  Terra Madre perché si potessero sentire finalmente parte di una grande famiglia professionale. Di Camille, apicoltore del Benin, che ci ha arredato la stanza coi suoi stupendi arazzi didattici, portatore di un ambizioso progetto che collega l’apicoltura alla riforestazione del territorio secondo una logica di filiera. Di Lady, apicoltrice del North Carolina, che ride della mia espressione incredula mentre mi racconta che ha api che non tratta per la varroa da tredici anni. Di Daniel, che ha studiato entomologia e apicoltura all’Università della Luisiana per tornarsene nella sua Puerto Rico e promuovere un progetto efficace, imitabile e coinvolgente anche per i piccoli apicoltori di quel paese, di selezione genetica a partire dall’ape africanizzata. Degli apicoltori urbani giapponesi, che svolgono attività professionale  a Tokyo e trovano che per l’apicoltura è meglio la città che la campagna. Di Peter, ormai mio vecchio amico da Terra Madre 2006, che, come tanti altri qui, pur con pochi alveari si sente -e può essere percepito- come un apicoltore a tutti gli effetti, per la qualità di coinvolgimento, la maturità, il  livello di documentazione, l’ atteggiamento di responsabilità militante: un dissidente dell’Associazione Apicoltori della Gran Bretagna, che rimprovera di ricevere, facendo finta che non conti nulla, finanziamenti dalla Bayer. Terra Madre è in effetti un contesto dove in qualche caso puoi fare fatica a tracciare un confine tra un hobbista da un professionista, e dove la distinzione stessa non ha senso, quando sai che l’apicoltura, persino come attività marginale, è una fonte di sostentamento indispensabile in situazioni di estrema povertà, e per gruppi socialmente deboli come le donne, come appunto ci testimonia la timida salvadoregna Alicia.
Un apicoltore e un tecnico del Mali, chiacchierando, mi fanno sapere che non sanno bene cosa fare di tutta la cera che gli apicoltori producono. Rimangono stupiti quando gli dico che da noi la cera africana è come l’oro (purchè non sia contaminata dai contenitori). Mi chiedono: “Perche? Da voi si fanno tante candele?” E quando alla fine gli chiedo se l’incontro di Terra Madre è stato utile per loro, mi dicono che anche solo l’idea che gli ho dato e i due indirizzi a cui rivolgersi valevano il viaggio.
Mathew  lavora in India nella Keystone Foundation, che dà un sostegno tecnico alle popolazioni delle colline nel Sud dell’India, in particolare confezionando secondo corrette norme igieniche il miele procacciato dai “cacciatori di miele”dai favi dell’ “apis dorsata”, l’ape gigante che li costruisce su rupi alte fino a novanta metri. Chiedo anche a lui cosa gli ha dato Terra Madre, e lui mi risponde “energia”. “L’energia con cui tornerò carico e motivato a continuare il mio lavoro”.
Ecco, in questi incontri si sono intrecciate l’utilità pratica e la bellezza. Bellezza è anche il concetto fondante di Terra Madre e di Slowfood, l’idea di un’attività dove il produttore, il prodotto, chi del prodotto si nutre, l’ambiente, e nel nostro caso anche i nostri preziosi animaletti, siano ugualmente considerati e in armonia.
Un incontro di apicoltori in questo contesto ha un sapore particolare, perché contiene l’elemento tecnico in un insieme più complesso. E permette di percepire l’apicoltura all’interno di un mondo di altre produzioni,  tutte fondate sullo stesso spirito, sollevando il naso dal nostro alveare, persino dal nostro apiario, persino dal nostro territorio per unire la nostra forza e la nostra conoscenza come guardiani di uno dei tesori di questo pianeta. Questa bellezza non va considerata un optional, un semplice ornamento, può diventare il tessuto del nostro operare su questa terra e trasformarci.

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