Ricerca USA: pesticidi classificati sicuri per le api danneggiano gli impollinatori selvatici
ITHACA, NY – Un nuovo studio della Cornell University nelle piantagioni di meli dello stato di New York meleti evidenzia i danni dei pesticidi per gli impollinatori selvatici, ed anche fungicidi etichettati “sicuri per le api” possono anche indirettamente minacciare gli impollinatori autoctoni.
La ricerca, pubblicata il 3 giugno sulla prestigiosa rivista Proceedings of the Royal Society B, evidenzia che gli effetti negativi dei pesticidi sugli impollinatori selvatici si riduce proporzionalmente alla presenza di aree naturali nei pressi dei frutteti.
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Il 35% delle produzioni agricole mondiali beneficia dell’impollinazione degli insetti e gli agricoltori statunitensi hanno puntato esclusivamente sull’ape europea Apis mellifera, le cui popolazioni sono in declino da decenni.
“Poiché la produzione dei nostri alimenti più nutritivi, tra cui frutti, verdure e anche oli, dipende dall’impollinazione degli insetti, c’è uno stretto legame tra impollinatori e benessere umano.” ha detto Mia Park, assistent professor all’Università del North Dakota e primo autore dell’articolo, che ha lavorato allo studio come studente di entomolgia alla Cornell University. I co-autori includono il professor Bryan Danforth e il professore associato John Losely, entrambi entomologi.”Con il declino delle api assumono grande importanza i servizi che forniscono gli impollinatori selvatici.” Afferma Park.
I ricercatori hanno studiato 19 frutteti nello stato di New York per due anni, il 2011 e il 2012. Hanno valutato le condizioni delle popolazioni di api analizzando il numero di api e di api selvatiche e il numero di specie per ciascun frutteto. Hanno poi creato un indice di utilizzo dei pesticidi ed infine hanno quantificato la quantità di aree naturali che circondavano ciascuna piantagione.
“Abbiamo evidenziato una risposta negativa della intere comunità di api all’aumento dell’uso di pesticidi” ha detto Park, aggiungendo che anche i fungicidi contribuiscono al problema.
Gli effetti dei pesticidi sulle api selvatiche sono più gravi nella generazione successiva al trattamento, suggerendo, secondo Park, che i pesticidi abbiano influenzato la riproduzione o la prole. Park ha però anche specificato che la ricerca ha solo analizzato gli effetti sulla generazione del trattamento e sulla successiva e quindi sono necessari nuovi approfondimenti per evidenziare gli effetti a lungo termine. Lo studio non ha evidenziato effetti sulle api mellifere, ma gli alveari sono stati portati nei frutteti per brevi periodi durante la fioritura e poi rimossi. Peraltro i frutticoltori sono stati attenti a non trattare durante il periodo di presenza delle api. “Le api avrebbero potuto mostrare degli effetti se non fossero state spostate” ha affermato Park.
E’ necessario approfondire le ricerche per comprendere gli effetti dei fungicidi, per i quali i ricercatori sospettano effetti indiretti, quali danni alle larve o alterazioni della flora microbica che contribuisce alla digestione e alla produzione di sostanze che orientano la capacità delle api di riconoscere i propri nidi.
L’effetto di aree naturali più estese riduce proporzionalmente gli effetti negativi dei pesticidi probabilmente perché gli spazi naturali fanno sì che ci siano più impollinatori selvatici attorno ai frutteti: anche se una parte muore, ne sono disponibili altri per impollinare. Le aree naturali possono anche fornire un rifugio contro l’esposizione costante, che viene a mancare se anche i campi confinanti sono coltivati e trattati.
“I nostri studi sulle api selvatiche nelle piantagioni di melo stanno evidenziando quanto esse siano importanti per l’impollinazione dei meli nell’Est degli Stati Uniti” ha detto Danforth. Con più di 20 000 specie note di api, le api native sono abbondanti e varie in molti ambienti agricoli e probabilmente forniscono un contributo importante all’impollinazione di angurie, zucche, mirtilli e altri fruttiferi.
Lo studio è stato finanziato dai fondi Smith Lever e Hatch e condotto dalla stazione sperimentale agricola della Cornell University e dall’USDA.
Fonte: Cornell University
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