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Millefiori del Trentino

Prodotti delle api

  
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Il territorio
Il miele millefiori, in Trentino, rappresenta la maggiore produzione di questo meraviglioso e complesso territorio, un microcosmo geografico e botanico in cui si trova coabitante la flora mediterranea con specie appartenenti ad areali subalpini ed alpini, il tutto su un substrato geologico a mosaico, palestra per gli studiosi del settore; entrando in Trentino da sud, colpisce la copertura vegetazionale che, come  manto verde, ricopre le montagne, lasciando solo qua e là scoperta qualche roccia  perpendicolare. A conferma di questa osservazione il dato tecnico stima in più del 70%  la superficie a foresta della Provincia di Trento.
Al di là del bosco si trova alternanza fra zone coltivate, per la maggior parte come frutteti e vigneti in valle e nei numerosi altipiani ed invece prati stabili nelle zone di montagna.
Nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad una erosione in quota del manto erboso, non più correttamente sfalciato e con conseguente avanzamento del bosco, mentre nelle zone ripariali e di frana si sono insediate piante pioniere con acacia ed ailanto in testa.

I Millefiori Trentini
Il tentativo di strappare il miele millefiori al suo stato di “parente povero” del monoflora” trova nel Trentino, dove la immensa varietà botanica rende difficile la produzione di monoflora, un terreno di sfida. Ci aveva provato uno dei pochi produttori professionisti della provincia, a vendere i suoi diversi millefiori col nome di località: Fiavè, Malga Brigolina,Sopramonte. Ma occorreva superare la semplice evocatività di  un toponimo, e arrivare a presentare dei mieli trentini di territorio e di annata, come si è sempre saputo fare coi vini; e nello stesso tempo imparare a riconoscere quei monoflora mai veramente conosciuti perché rari e che più spesso danno un contributo aromatico particolare nella composizione di un millefiori. O a estrapolare certe componenti che risultano quasi sempre presenti, se si analizzano al microscopio i pollini contenuti nei mieli, ma non si sapeva bene, finora, che tipo di contributo aromatico diano al prodotto invasettato. Un gruppo di assaggiatori appassionati al miele trentino si riunisce dal 2009, lavorando su diversi filoni di esplorazione: c’è il tentativo di individuare le caratteristiche del miele di erica carnea, molto raro perché la sua produzione, molto precoce rispetto alla stagione, richiede una gestione particolare degli alveari, che potrebbero non avere ancora la forza di raccogliere miele in quantità significativa; c’è il tentativo di scoprire una diversità tra la melata d’abete bianco e quella di abete rosso; di caratterizzare la componente data dal miele di lampone nei millefiori di frecciatornasuontagna; di operare una demarcazione chiara tra miele di tarassaco e miele di melo, che il più delle volte le api raccolgono nello stesso periodo, trovando degli estremi convincenti di purezza dalla parte dell’uno o dell’altro, identificando nel mezzo una gradualità molto varia di sfumature.

melo tarassaco erica_carnea

Più chiari e profumati sono in genere i mieli primaverili, spesso con una componente di acacia (ma un miele monofloreale di acacia si fa quasi esclusivamente in Valsugana); il tocco profumato è a volte intenso, e può essere quello fruttato del melo o del ciliegio, nelle zone di frutteti come la Val di Non o la Valsugana.

Non manca mai, più o meno intensa, nei mieli primaverili, anche una nota pungente, di vegetale secco, che può essere data dall’onnipresente tarassaco. Nelle zone dove fiorisce l’erica carnea (Val di Tovel, Val di Ronchi) ecco comparire una tipica sfumatura aromatica di zuccheri cotti, e quando l’erica è rappresentata nel miele in quantità consistente, anche una nota calda come di cacao.
Più scuri e aromatici sono i mieli nel proseguo della stagione, in genere con la componente mentolata-medicinale del tiglio o qualla amarognola-tannica del castagno. Il castagno non è in grado di fornire un miele monoflorale, se non in rare zone come la Valsugana o la Valle del Chiese, ma è una componente abituale dei millefiori estivi, e anche il tiglio solo in annate eccezionali e in poche zone riesce a dare dei monoflora di grande purezza (come in Val di Sole e in Val di Rabbi). Mentre dà un suo contributo aromatico ai millefiori in un vasto areale. Nella zona fra il Garda e la Val di Ledro  (la parte “mediterranea” del Trentino) si ottengono dei mieli che richiamano profumi ed aromi “d’oriente”.

rododendro

torna all'inizioPiù chiari, e con una percezione acidula, i mieli di alta montagna. L’ambizione degli apicoltori ogni anno è quella di produrre il rododendro, uno dei mieli più chiari e delicati, ma difficile da ottenere: un periodo secco o freddo o troppo piovoso possono pregiudicarne la produzione; in realtà un rododendro in purezza in Trentino è raro, senza una nota profumata-calda che potrebbe attribuirsi al lampone e un tocco speziato e pungente che potrebbe attribuirsi al timo serpillo. Il colore chiaro del rododendro assume poi tonalità ambrate se  c’è la presenza di una certa quantità di melata d’abete, e una nota balsamica al gusto. Questa nota balsamica in certe annate pervade una gran parte dei mieli estivi del trentino, creando una sorta di “rumore di fondo”, e il confine tra un millefiori e una melata a volte sfuma.

lampone abete_rosso
In Trentino domina l’abete rosso, rispetto al bianco. Le due rispettive melate sembrano potersi distinguere tra loro. Analogie e similitudini con altri mondi ci hanno permesso di memorizzare con una certa fedeltà i descrittori del più soffice abete rosso: con il caldo, yang, odore di fumo avvolgente, di pasticceria, di legno bruciato, di latte condensato, solo leggermente resinoso, mentre l’abete bianco, più intenso, si stacca nettamente con la resinosità più marcata ma fredda, molto yin, con aroma di sottobosco mattutino, di camino spento, di speck, di olio essenziale di pino, di rametto di abete masticato. La zona della Paganella è un’isola dove tende a dominare l’abete bianco, in quasi tutte le zone l’abete rosso domina incontrastato, in altre si rileva una contaminazione, percepibile nel prodotto invasettato, tra le due melate.
Un punto di domanda riguarda un possibile contributo aromatico della propoli a un odore ricorrente tipico di gran parte dei mieli trentini: la propoli del Trentino deriva soprattutto dalle conifere e non dal pioppo, come nel resto d’Italia, ed ha un odore più penetrante, balsamico e terpenico della propoli del resto d’Italia, dal profumo più caldo e resinoso. Questa nota pungente potrebbe essere, insieme a una componente frequente di tarassaco o timo, dovuta all’ influenza della propoli?

(Paolo Faccioli e Maria Teresa Lanzinger)frecciatornasu

 
Ecco una testimonianza in prima persona di amore per la propria terra e le proprie api, e di profonda conoscenza dei rapporti tra api, fiori, piante e aromi. Ecco come i mieli millefiori rappresentano la mappa gustativa di un territorio.