
Al di là del bosco si trova alternanza fra zone coltivate, per la maggior parte come frutteti e vigneti in valle e nei numerosi altipiani ed invece prati stabili nelle zone di montagna.
Nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad una erosione in quota del manto erboso, non più correttamente sfalciato e con conseguente avanzamento del bosco, mentre nelle zone ripariali e di frana si sono insediate piante pioniere con acacia ed ailanto in testa.
I Millefiori Trentini
Il tentativo di strappare il miele millefiori al suo stato di “parente povero” del monoflora” trova nel Trentino, dove la immensa varietà botanica rende difficile la produzione di monoflora, un terreno di sfida. Ci aveva provato uno dei pochi produttori professionisti della provincia, a vendere i suoi diversi millefiori col nome di località: Fiavè, Malga Brigolina,Sopramonte. Ma occorreva superare la semplice evocatività di un toponimo, e arrivare a presentare dei mieli trentini di territorio e di annata, come si è sempre saputo fare coi vini; e nello stesso tempo imparare a riconoscere quei monoflora mai veramente conosciuti perché rari e che più spesso danno un contributo aromatico particolare nella composizione di un millefiori. O a estrapolare certe componenti che risultano quasi sempre presenti, se si analizzano al microscopio i pollini contenuti nei mieli, ma non si sapeva bene, finora, che tipo di contributo aromatico diano al prodotto invasettato. Un gruppo di assaggiatori appassionati al miele trentino si riunisce dal 2009, lavorando su diversi filoni di esplorazione: c’è il tentativo di individuare le caratteristiche del miele di erica carnea, molto raro perché la sua produzione, molto precoce rispetto alla stagione, richiede una gestione particolare degli alveari, che potrebbero non avere ancora la forza di raccogliere miele in quantità significativa; c’è il tentativo di scoprire una diversità tra la melata d’abete bianco e quella di abete rosso; di caratterizzare la componente data dal miele di lampone nei millefiori di ontagna; di operare una demarcazione chiara tra miele di tarassaco e miele di melo, che il più delle volte le api raccolgono nello stesso periodo, trovando degli estremi convincenti di purezza dalla parte dell’uno o dell’altro, identificando nel mezzo una gradualità molto varia di sfumature.
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Più chiari e profumati sono in genere i mieli primaverili, spesso con una componente di acacia (ma un miele monofloreale di acacia si fa quasi esclusivamente in Valsugana); il tocco profumato è a volte intenso, e può essere quello fruttato del melo o del ciliegio, nelle zone di frutteti come la Val di Non o la Valsugana.
Più scuri e aromatici sono i mieli nel proseguo della stagione, in genere con la componente mentolata-medicinale del tiglio o qualla amarognola-tannica del castagno. Il castagno non è in grado di fornire un miele monoflorale, se non in rare zone come la Valsugana o la Valle del Chiese, ma è una componente abituale dei millefiori estivi, e anche il tiglio solo in annate eccezionali e in poche zone riesce a dare dei monoflora di grande purezza (come in Val di Sole e in Val di Rabbi). Mentre dà un suo contributo aromatico ai millefiori in un vasto areale. Nella zona fra il Garda e la Val di Ledro (la parte “mediterranea” del Trentino) si ottengono dei mieli che richiamano profumi ed aromi “d’oriente”.

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Un punto di domanda riguarda un possibile contributo aromatico della propoli a un odore ricorrente tipico di gran parte dei mieli trentini: la propoli del Trentino deriva soprattutto dalle conifere e non dal pioppo, come nel resto d’Italia, ed ha un odore più penetrante, balsamico e terpenico della propoli del resto d’Italia, dal profumo più caldo e resinoso. Questa nota pungente potrebbe essere, insieme a una componente frequente di tarassaco o timo, dovuta all’ influenza della propoli?
(Paolo Faccioli e Maria Teresa Lanzinger)