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Note e osservazioni sull’andamento del mercato del miele in Europa

22 gennaio 2012

Miele in favo con miele che collaDalle cifre le indicazioni sul futuro dell’apicoltura e sulle sfide che dovrà affrontare…

 

..almeno una volta l’anno a Bruxelles viene convocato il Gruppo per l’Apicoltura, per il confronto tra istituzioni comunitarie e i rappresentanti delle associazioni dei produttori apistici e dell’industria e commercio della filiera del miele.

L’ultimo incontro si è svolto a metà novembre 2011, vi ho partecipato come di consueto in qualità di vice presidente del Gruppo Miele Copa-Cogeca. In quell’occasione la Direzione GeneraleAgricoltura della Commissione Europea ha fornito un aggiornamento dei dati sull’andamento del mercato del miele, aggiornamento che era mancato nelle occasioni d’incontro e confronto precedenti.

L’analisi sintetica dei dati commerciali offre a mio avviso, in questo caso, l’occasione di alcune importanti osservazioni e anche di qualche indicazione per il futuro.

 

1) Calo progressivo della produzione europea di miele

Lo sguardo sull’insieme del mercato, sovente concentrato sullo scenario dei paesi extraeuropei, tradizionalmente esportatori in Europa, e focalizzato sulla percezione delle differenze inerenti la competizione produttiva e commerciale, fa sovente dimenticare il dato per cui è la stessa U.e. uno dei più grandi produttori mondiali di miele, e non solo uno dei più importanti mercati e ambiti di consumo.

Se invece ci si sofferma sull’osservazione dell’andamento dei quantitativi importati nella Comunità negli anni più recenti, si deve prendere atto che le cifre dell’importazione ci indicano un grave, notevole e preoccupante calo delle capacità produttive apistiche da parte degli oltre 600.000 apicoltori operanti nella Comunità.

Basti in proposito notare come il fabbisogno sia, in media, di circa 140.000 tonnellate importate, e come cali a 127.000 tonnellate nel 2007, in conseguenza dell’allargamento dell’Unione Europea ai grandi paesi produttori di miele dell’Est Europa, tradizionali grandi esportatori di miele verso l’U.e., e come negli anni successivi la tendenza sia invece d’incremento dell’import, fino agiungere nel 2010 a oltre 148.000 tonnellate.

Per altro fenomeno analogo si era già manifestato in occasione del precedente allargamento della Comunità Europea.

Non vi sono segnali d’incremento dei consumi di miele, anzi la crisi economica ci fa supporre una possibile penalizzazione di un dolcificante di qualità relativamente costoso, l’ipotesi conseguente – peraltro coerente con i dati dell’andamento produttivo di grandi paesi produttori di miele come Spagna, Francia ecc… – è che si stia verificando, anche in Europa, un notevole decremento della capacità produttiva di miele, con compensazione del fabbisogno grazie all’aumento delle importazioni.

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Data l’assenza di monitoraggi efficienti nei vari paesi U.e. sul numero, su stato di salute, su capacità produttiva delle colonie d’api, questi dati confermano una volta di più gli allarmi vissuti e lanciati da quanti in campo vivono in modo sempre più angosciato la difficoltà d’allevare api oggigiorno.

La considerazione di tale andamento commerciale se da un lato conferma la preoccupazione e l’allarme per il declino di api e apicoltura indica, nel contempo per le apicolture nazionali, quali quella italiana, che riescono quantomeno a mantenere livelli quali quantitativi produttivi storici, una notevole potenzialità di valorizzazione commerciale delle loro produzioni.

Sotto questo profilo l’andamento effettivo delle quotazioni negli ultimi anni conferma una tendenza di possibile redditività del comparto apistico, andamento e tendenza che hanno ben poche analogie con altri comparti produttivi agricoli europei e nazionali.

In sostanza se riusciremo a difendere le nostre api da pesticidi, agroindustria, varroa, monoculture in successione, cambio climatico…se quindi riusciremo a produrre (come abbiamo fatto negli anni post 2008 – grazie anche alla sospensuione dei concianti neurotossici Killer d’api!), ci troveremo con probabilità in una fase che non dovrebbe essere caratterizzata da volatilità delle quotazioni internazionali, con una possibile apprezzabile stabilità sia della domanda che dei prezzi conseguiti dai produttori.


2) La Cina guadagna sempre più terreno, a scapito d’Argentina e America Latina

A seguito del blocco totale delle importazioni dalla Cina, per variegata contaminazione, il flusso delle importazioni è cresciuto dal paese asiatico in modo impetuoso per cui dalla percentuale d’import dalla potenza asiatica del 33% nel 2010, ad agosto 2011 si è già giunti a oltre il 37%!

Ritmo d’incremento di tale dimensione da far ritenere che l’importazione dal paese dei mandarini possa attestarsi, con probabilità e presto, nella fornitura di ben oltre il 40% del fabbisogno di miele europeo.

Fenomeno che peraltro si sta verificando anche a livello nazionale in Italia con una crescita “silenziosa” ma implacabile dell’approvvigionamento del mercato da parte di tale, più che dubbia, fonte di fornitura.

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3) La concorrenza è sempre più tra miele naturale e sedicente “miele”, adulterato!

Il prezzo dell’importazione da tutte le provenienze internazionali (escluso il “miele” proveniente dalla Cina; ed escluso il miele di Manuka della Nuova Zelanda, per la sua particolare valorizzazione) indica una media della quotazione, nel 2010, di € 2,36 contro un prezzo del “miele” cinese di €1,26.

Altro dato macroscopico da notare, fra l’altro, la differenza di ben 75 centesimi di € fra il prodotto cinese e quello indiano, “miele” anch’esso recentemente escluso dal mercato europeo per il diffuso livello di adulterazione e contaminazione.

Le leggi dell’economia decretano inesorabilmente che non può essere, non è, miele naturale quello immesso liberamente sul mercato europeo – e che “soddisfa” oltre il 40% dei consumi – a un prezzo inferiore al 50% rispetto alla quotazione internazionale.

Molto più semplicemente il flusso di fornitura del prodotto adulterato viene opportunamente “regolato”, per non incidere eccessivamente nel deprezzamento generale di questa merce!

L’evidenza di adulterazione e sofisticazione del prodotto alimentare miele, liberamente immesso al consumo, fa risaltare la totale incapacità, inerzia e indifferenza delle autorità preposte al controllo del mercato e merita d’essere denunciata ad alta voce.

Tale concorrenza sleale non solo danneggia iconsumatori e i produttori onesti, ma rischia di penalizzare fortemente lo stesso consumo del miele naturale.

Il prodotto etichettato come miele che subisce fermentazioni, pastorizzazione, ultrafiltrazione, aggiunta e miscelazione di pollini, “taglio”con zuccheri quali quello derivato dal riso, non è comparabile con il miele naturale, non può certo quindi soddisfare le attese e il palato dei consumatori.

V’è un rischio non piccolo che i vasi truffaldini commercializzati in gran copia esplichino un effetto perverso non solo sotto il profilo della slealtà, ma contribuiscano ad allontanare dal consumo di vero miele sano, buono e naturale.

L’invito a consumare quindi miele che sia di origine certa, conosciuta e tale da garantire genuinità e salubrità piena, assume sempre più valore d’indicazione strategica per un’efficace comunicazione a difesa del buon miele e del diritto dei consumatori ad alimenti sani e non adulterati industrialmente.

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Conclusioni

Le cifre a volte ci parlano, ci indicano fenomeni, ci aiutano a individuare le possibilità che abbiamo per rapportarsi a quanto ci circonda e merita d’essere non solo conosciuto ma anche modificato.

Se l’apicoltura nazionale ed europea sapranno sviluppare una adeguata azione sui vari fronti per mantenere e anzi incrementare le capacità produttive, sono possibili se non probabili prospettive più che accettabili.

Il destino, il declino dell’apicoltura non è segnato!

Si conferma uno scenario, rapportato all’andamento del mercato globalizzato, di possibili spazi e margini di redditività dall’attività apistica.

Fenomeno oggi non frequente, come già osservato, in ambito agricolo.

D’altra parte l’apicoltura europea con i suoi oltre 13 milioni d’alveari, e quella italiana con oltre 1,1 milione di colonie d’api, diversamente da quella statunitense ridotta al lumicino (dai 4,7 milioni di colonie d’api del dopoguerra ai 2,5 milioni attuali, di cui non sopravvive ogni anno all’inverno poco più d’un 60%) e utilizzata prevalentemente per l’impollinazione d’immense monocolture, ha mantenuto e ha ancora grandi potenzialità produttive. 

Tale potenzialità è direttamente relazionata alla capacità che si saprà attivare negli anni a venire, per una ben diversa attività di contrasto alla sempre più spudorata immissione al consumo di prodotti adulterati e sofisticati.

L’informazione adeguata dei cittadini e l’attività pubblica di contrasto all’adulterazione possono essere le leve più efficaci per sostenere l’apicoltura, un’attività oggi in declino ma indispensabile ad agricoltura e ambiente…e per produrre buon miele! e tanti altri magnifici derivati dell’alveare: polline, pappa reale, propoli ecc..!

Francesco Panella

Novi Ligure 22 gennaio 2012

frapane(chiocciola)tin.it

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