Batteri associati alla varroa degradano l’acido ossalico: possibile meccanismo di resistenza?
Un nuovo lavoro dell’Università della Florida ha evidenziato un possibile meccanismo di resistenza della varroa all’acido ossalico: l’acaro avrebbe sviluppato una relazione mutualistica con ceppi batterici in grado di metabolizzare l’acido organico e quindi di proteggerlo dall’azione acaricida.
A causa dell’insorgere di resistenze agli acaricidi l’apicoltura si trova ad affrontare il flagello della varroa con poche armi a disposizione. In particolare l’acido ossalico è attualmente un principio attivo fondamentale per chi pratica la lotta biologica, ma è anche importante per l’apicoltura convenzionale. Il timore pertanto che possa insorgere una forma di resistenza è molto forte ed acceso dal fatto che negli anni, anche in Italia, è stato necessario, per mantenere un’efficacia sufficiente, aumentare, se non i dosaggi, almeno il numero delle somministrazioni.
I meccanismi alla base della resistenza agli insetticidi ed acaricidi possono essere diversi: dalla mutazione del sito d’azione all’accelerazione della detossificazione, allo sviluppo di barriere in grado di impedirne l’assorbimento fino ancora a modificazioni del comportamento tali da evitare il contatto con la molecola.
Benché non sia noto il meccanismo d’azione dell’acido ossalico, si ritiene che eventuali resistenze possano venire più da alterazioni del comportamento (es. riduzione del periodo foretico) che da mutazioni di un sito d’azione o dallo sviluppo di capacità di detossificazione. Di fronte alle ripetute segnalazioni degli apicoltori, anche oltreoceano, di insufficiente efficacia, è stata invece formulata l’ipotesi che la flora microbica simbionte possa operare la degradazione della molecola fornendo una protezione dal principio attivo. Un meccanismo di resistenza di tale genere, mediato dal microbioma, è stato recentemente dimostrato in Giappone, dove sono stati isolati batteri in grado di degradare rapidamente un estere fosforico conferendo protezione all’insetto target: tali ceppi batterici in grado di metabolizzare il pesticida, normalmente presenti nel suolo in piccola percentuale, sotto la pressione selettiva di trattamenti ripetuti, arrivano a costituire l’80% degli isolati e ad associarsi con gli insetti nella fase di pupa (Kikuchi et al., 2012).
Per testare l’ipotesi i ricercatori dell’Università della Florida hanno isolato da campioni di varroa e messo in coltura diverse specie batteriche e ne hanno poi testato la capacità di degradare l’acido ossalico, un carattere non comune tra i batteri.
Ne è risultato che diversi ceppi del genere Burkholderia degradano l’acido ossalico, il che è difficile credere che sia un reperto casuale. L’ipotesi è quindi che la varroa cerchi l’associazione con batteri capaci di degradare l’acido ossalico per difendersi dal suo effetto tossico. Un aspetto intrigante è che i ceppi degradanti l’ossalico sono parenti molto prossimi dei ceppi di Burkholderia in grado di degradare l’insetticida fenitrothion, che hanno sviluppato una simbiosi con un parassita della canna da zucchero, proteggendolo dai trattamenti (Tago et al., 2015). Ciò suggerisce che non solo gli insetti ma anche gli aracnidi come la varroa possano, per mezzo di relazioni mutualistiche con dei batteri, potenziare le proprie capacità metaboliche, nei casi specifici per difendersi da agenti tossici che incontrano nell’ambiente.
Saranno necessarie indagini a una scala geografica più ampia per confermare ed estendere le osservazioni e soprattutto quantificare il livello di protezione che i batteri sono in grado di conferire. La scoperta potrebbe però avere conseguenze sull’uso dell’acido ossalico come mezzo di controllo di Varroa destructor.
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