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Sanità dell'alveare

Sull’importanza dei nidi piccoli

31 marzo 2016

SeeleyLitLunch5 8 300x200Thomas Seeley, specialista di api e ricercatore alla Cornell University, ha recentemente pubblicato uno studio sulle colonie di api che sopravvivono allo stato selvatico nonostante Varroa destructor. Queste api non sono trattate con acaricidi per liberarle dalla pressione parassitaria. L’ipotesi formulata dal ricercatore americano è che la dimensione del nido abbia un impatto sull’infestazione delle colonie. In altri termini, più piccola è l’arnia, meno sarebbe infestata dall’acaro.

Le colonie allevate sono installate in arnie di un volume tra i 120 e i 160 l, mentre in natura le api colonizzano cavità che hanno un volume tra 30 e 60 litri, un volume molto inferiore alle arnie proposte dall’apicoltore. La sciamatura naturale frequente legata al piccolo volume dell’habitat spiega una carica minore di varroa. Si stima nel 35% la riduzione della popolazione di varroa per il semplice fatto della sciamatura. Il 70% delle operaie partono con i loro acari e la rottura della continuità della covata che segue penalizza lo sviluppo della popolazione di varra nella colonia che ha sciamato. Per provare questa ipotesi, la squadra di Seeley ha osservato due gruppi di colonie. Il gruppo 1 era costituito da 12 colonie in arnie piccoleda 42 l non trattate né gestite. Il gruppo 2 era invece costituito da 12 colonie installate in grandi arnie da 168 l sottoposte alla gestione apistica classica, ossia con i trattamenti acaricidi, la prevenzione della sciamatura e la raccolta di miele. L’insieme è stato seguito per due anni.

I risultati sono i seguenti:

Grafico 1

1Seeley dynamique colonies 300x300

Dinamica della popolazione di api adulte da giugno 2012 a settembre 2013. In verde: famiglie in arnie piccole; in rosso: famiglie in arnie grosse.

Grafico 2

2Seeley dynamique cvouain 300x297

Dinamica della quantità di covata da giugno 2012 a settembre 2013. In verde: famiglie in arnie piccole; in rosso: famiglie in arnie grosse.

Grafico 3

3Seeley infestation varroas 271x300

Tasso di infestazione delle api adulte da giugno 2012 a settembre 2013. In verde: famiglie in arnie piccole; in rosso: famiglie in arnie grosse.

Nel gruppo 2 di colonie alloggiate in arnie grandi, 7 colonie su 12 sono state colpite dal virus delle ali deformi.

Una colonia ha collassato a settembre 2013 e altre 9 sono morte tra ottobre 2013 e aprile 2014.

In totale, 10 alveari su 12 sono morti nel gruppo 2.

Nel gruppo 1 delle colonie alloggiate in arnie piccole, nessuna è stata colpita dal virus delle ali deformi.

Una colonia è divenuta fucaiola a settembre 2013 (spermateca della regina vuota).

3 colonie sono morte tra ottobre 2013 e aprile 2014. Queste colonie sono state caratterizzate da un picco di infestazione in settembre 2013 (cfr grafico 3). Questa infestazione è spiegata dal probabile saccheggio di una colonia del gruppo 2  giunta al collasso per l’alta infestazione. Le colonie erano distanziate solo di 60 metri.

In totale sono morti 4 alveari su 12 nel gruppo 1.

A questo proposito un altro lavoro pubblicato dallo stesso Seeley nel 2015 dimostra anche che l’allevamento delle api le concentra in apiari favorendo la diffusione di parassiti e patogeni per i fenomeni del saccheggio e della deriva: mentre negli apiari gli alveari sono in media posizionati a meno di un metro dalla famiglia più vicina, in natura un alvare dista in media più di 800 metri dal più vicino e quindi con densità piuttosto basse (1/km^2). Peraltro questo fatto fa sì che parassiti e patogeni abbiano un vantaggio competitivo dalla maggior virulenza, perché portando le famiglie al collasso e a essere saccheggiate hanno un’altissima probabilità di diffondersi efficacemente. Al contrario in natura il collasso dell’ospite significa spesso per parassiti e patogeni anche la propria estinzione. (ndt)

Nella pratica apistica la costituzione di nuclei così come il blocco artificiale della covata per ridurre la carica parassitaria può avere effetti paragonabili a quelli della sciamatura.

Naturalmente questa spiegazione che implica dei dati ambientali come la dimensione del nido non esclude il fatto che le colonie che vivono in natura abbiano dovuto sviluppare una resistenza genetica alla pressione esercitata dalla varroa e dai virus.

Riferimenti

Loftus, J. Carter, Michael L. Smith, e Thomas D. Seeley. 2016. «How Honey Bee Colonies Survive in the Wild: Testing the Importance of Small Nests and Frequent Swarming». PLOS ONE 11 (3): e0150362. doi:10.1371/journal.pone.0150362.
Seeley, Thomas D., e Michael L. Smith. 2015. «Crowding Honeybee Colonies in Apiaries Can Increase Their Vulnerability to the Deadly Ectoparasite Varroa Destructor». Apidologie 46 (6): 716–27. doi:10.1007/s13592-015-0361-2.

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