Patogenesi
Varroa destructor è ritenuta la principale causa di mortalità invernale degli alveari nei paesi a clima temperato (Rosenkranz et al., 2010) e del collasso nella stagione attiva delle famiglie fortemente infestate in conseguenza della cosiddetta “sindrome da acari” (Shimanuki e Knox, 2000). Quest’ultima definizione corrisponde ad un complesso di sintomi tra cui una riduzione numerica delle api, api adulte malformate e/o con segni di paralisi, covata a mosaico, larve morte in un quadro simile a peste europea, americana o covata a sacco ma senza microflora caratteristica e odore tipico. In estrema sintesi le colonie periscono a causa delle infezioni virali veicolate da varroa, che riducono drammaticamente la sopravvivenza delle api e quindi provocano un rapido spopolamento degli alveari. Scopo di quest’articolo è sintetizzare le numerose, ma ancora parziali, acquisizioni scientifiche sui meccanismi attraverso cui la varroa arreca danno agli alveari.
Sottrazione di nutrienti
La varroa rispetto all’ape è un parassita molto grande: in proporzione è come se una zecca del diametro di un piatto da portata si alimentasse su un corpo umano. Benché le sue esigenze nutrizionali non siano elevate (1% delle riserve della pupa), la varroa sfrutta le risorse sottratte in modo apparentemente inefficiente (Garedew et al., 2004). Cosicché un’ape che sfarfalla da una cella parassitata pesa dal 6 al 25% meno di un’ape che sfarfalla da una cella non parassitata (Bowen-Walker e Gunn, 2001; De Jong et al., 1982; Schneider e Drescher, 1987; Yang e CoxFoster, 2007). Analogamente ad altri parassiti che producono sostanze ad azione proteolitica per arricchire il proprio pasto di sangue, Varroa destructor per ottenere un alto tenore di aminoacidi liberi nell’emolinfa inibisce la sintesi proteica della pupa, alterandone lo sviluppo (Alaux et al., 2011; Aronstein et al., 2012). Ciò nonostante il peso ridotto allo sfarfallamento non sembra essere significativamente correlato con l’aspettativa di vita delle api (Yang e Cox-Foster, 2007). E’ stato invece osservato recentemente che la sottrazione di emolinfa altera la composizione chimica della cuticola delle api parassitate rendendola inadeguata a trattenere l’acqua corporea e la disidratazione che ne deriva spiegherebbe in parte la ridotta longevità delle api (Annoscia et al., 2012).
Alterazioni del comportamento
Le api parassitate hanno una minor quantità di vitellogenina, una proteina che svolge funzione di riserva proteica per la produzione di pappa reale, ma che ha anche un ruolo centrale nella regolazione dell’immunità, dell’invecchiamento e dei compiti svolti nell’alveare (Amdam et al., 2004b). La riduzione di deposizione in autunno è associata a un accumulo di vitellogenina (Fluri et al., 1982). Questa sostanza nelle api invernali costituisce un deposito di materiale proteico essenziale per la sopravvivenza con scarse scorte di polline e per la ripresa primaverile della covata. Un basso livello di vitellogenina delle api parassitate è stato proposto come causa della mortalità invernale delle famiglie con forte infestazione di varroa (Amdam et al., 2004a; Dainat et al., 2012a). Bisogna sottolineare che l’alterazione del sistema vitellogenina/ormone giovanile ha un forte impatto sulla fisiologia dell’alveare nel suo complesso (Gregorc et al., 2012): le api con poca vitellogenina iniziano a bottinare precocemente e non sono completamente immunocompetenti (Wilson-Rich et al., 2008). Le bottinatrici infestate inoltre manifestano una riduzione delle capacità di apprendimento (Kralj et al., 2006), la durata dei voli risulta più prolungata e un maggior numero di esse non ritorna all’alveare (Kralj e Fuchs, 2006). Si tratta di fenomeni chiaramente favorevoli alla varroa, percihé ne permettono la diffusione ad altre colonie tramite la deriva. La perdita di bottinatrici di per sé non sembra essere sufficiente a determinare lo spopolamento della colonia, ma comunque è tale da consigliare agli apicoltori, per ridurre la reinfestazione, di eseguire i trattamenti acaricidi sempre in contemporanea su tutti gli alveari (Goodwin et al., 2006). La prima causa di reinfestazione resta comunque il saccheggio delle colonie indebolite dal parassita, che può comportare nel periodo tardoestivo l’introduzione di diverse decine di varroe al giorno (Greatti et al., 1992). Per questo, oltre che nel proprio interesse, è un’importante responsabilità di tutti gli apicoltori del territorio evitare sia la perdita di sciami, sia che la varroa arrivi a indebolire gli alveari fino al punto di divenire preda di saccheggio.
Immunodepressione
Le relazioni ospite-parassita non si limitano alla semplice sottrazione di risorse ma sono anche un intreccio complesso di difese e contro-difese, sviluppato nel corso di un processo di co-evoluzione simile a una “corsa agli armamenti” (Begon, 2006). E’ ormai noto che la saliva delle zecche contiene sostanze ad azione immunodepressiva, fina lizzate a far fronte alle difese immunitarie messe in campo dagli ospiti vertebrati. Ciò ha creato le condizioni per l’evoluzione di patogeni che sfruttano la zecca sia come vettore, adattandosi a riprodursi anche a carico della zecca, sia per la sua capacità di indebolire le difese immunitarie dell’ospite (Brossard e Wikel, 2004). Studi recenti hanno evidenziato un fenomeno analogo nell’acaro Varroa destructor. Il parassita in fase riproduttiva ha, infatti, l’esigenza di inibire la cicatrizzazione del sito di nutrizione per consentire alla prole di attingere all’emolinfa della pupa. Per questo la saliva dell’acaro contiene sostanze in grado di danneggiare gli emociti e di inibirne la capacità di aggregazione, un processo fondamentale sia per la cicatrizzazione delle ferite che per la fagocitosi degli agenti patogeni (Richards et al., 2011). Inoltre il parassitismo inibisce la sintesi della fenolossidasi (Alaux et al., 2011; Gregorc et al., 2012; Yang e Cox-Foster, 2005), un enzima su cui è basata la reazione di melanizzazione, un altro processo negli insetti indispensabile per la protezione da infezioni e la guarigione delle ferite (Kanost e Gorman, 2008). Risulta anche inibita la trascrizione di geni correlati con l’autofagia, il processo, importante per la difesa da batteri e virus, attraverso cui vengono degradate e sostituite le componenti cellulari danneggiate o non più necessarie (Navajas et al., 2008). In più Yang e Cox-Foster (2005) iniettando nelle api batteri (Escherichia coli) uccisi con il calore hanno riscontrato, nelle api parassitate, l’inibizione della risposta umorale basata sui peptidi antimicrobici. Analogamente Gregory et al. (2005) hanno evidenziato, anche senza iniettare alcunché, la riduzione dell’espressione dei peptidi antimicrobici nelle pupe parassitate; l’effetto era massimo nelle pupe infestate da un solo acaro fondatore ma la trascrizione tornava a valori normali con l’aumentare del numero di acari fondatori. Tali risultati sono parzialmente in contrasto con quelli di Aronstein et al. (2012), forse perché questo studio confrontava il livello di espressione genica dei peptidi antimicrobici tra colonie con diversi livelli di infestazione senza tenere conto del numero di parassiti per cella. Nelle api infestate è anche inibita la produzione di glucosio ossidasi, un enzima normalmente sintetizzato nelle ghiandole ipofaringee e secreto nella pappa reale, che preserva dalle contaminazioni il pasto delle larve. Di conseguenza Varroa destructor, deteriorando l’efficienza di uno dei meccanismi di immunità sociale dell’alveare, espone la covata all’azione di patogeni opportunisti (Yang e Cox-Foster, 2007). I molteplici meccanismi immunodepressivi messi in opera dall’acaro spiegano perché le famiglie fortemente parassitate appaiono profondamente malsane, esposte sia ai patogeni associati a varroa che a vari opportunisti (Ritter et al., 1984). Pertanto in presenza di quadri patologici aspecifici (quindi fatto salvo la peste americana…) a carico della covata o delle api adulte l’apicoltore dovrebbe prendere in considerazione l’eccessiva infestazione da varroa come probabile causa favorente.
Vettore virale
La presenza di Varroa destructor influenza l’epidemiologia dei virus attraverso tre meccanismi: (1) l’immunodepressione dell’ape, (2) la creazione di una via di trasmissione alternativa che introduce le particelle virali direttamente nell’emolinfa da cui raggiungono organi altrimenti irraggiungibili, (3) l’aumento drammatico della carica virale attraverso la replicazione del virus nell’acaro. Gli ultimi due meccanismi non sono sfruttati da tutti i virus delle api e questo spiega in parte il loro diverso grado di associazione a varroa. La maggior parte dei virus delle api senza la varroa sono presenti a livelli insignificanti negli alveari e solo importanti fattori di stress possono convertire l’infezione silente in infezione sintomatica (Genersch e Aubert, 2010). La trasmissione mediata da varroa ha però destabilizzato l’equilibrio evolutivo tra i virus e l’ape, basato su una convivenza relativamente benigna. Ciò ha comportato un fenomeno apparentemente paradossale: quando trasmessi da varroa sono i virus meno dannosi per le singole api che sono più virulenti a livello di colonia. Solo la sopravvivenza della pupa e delle varroe fanno sì che il titolo virale continui ad aumentare nella colonia, poiché aumentano le api e gli acari infetti disponibili alla trasmissione. E’ stato, infatti, dimostrato che il virus della paralisi acuta (ABPV), che è rapidamente letale per le api contagiate, per portare al collasso le colonie necessita di popolazioni di varroa più grandi rispetto al virus della ali deformi (DWV), che consente una maggior sopravvivenza delle api infette (Sumpter e Martin, 2004). Il collasso delle colonie infestate da varroa è per lo più dovuto alle epidemie virali, principalmente del virus delle ali deformi, e non al parassita in sé, tant’è che una gran mole di studi conferma che la carica virale delle api in autunno è il miglior parametro per prevedere la mortalità invernale degli alveari (Berthoud et al., 2010; Dainat et al., 2012a, 2012b; Di Prisco et al., 2011; Genersch et al., 2010; Highfield et al., 2009; Martin, 2001). Il virus delle ali deformi, con Varroa destructor Virus-1 (VDV-1) e Kakugo virus, fa parte di un complesso di virus derivanti da un ceppo comune per cui è stata dimostrata la capacità di sfruttare varroa per la replicazione (Ongus et al., 2004; Shen et al., 2005a, 2005b; Yue et al., 2007). In assenza di varroa il virus delle ali deformi (DWV) attua una strategia di trasmissione verticale, dove cioè regine e fuchi infetti trasmettono il virus alla prole (De Miranda e Fries, 2008). Tale strategia deriva da una lunga coevoluzione con Apis mellifera che ha portato a un equilibrio benigno che si esplica con infezioni silenti (Yue et al., 2007, 2006; Yue e Genersch, 2005). La via di trasmissione verticale, infatti, porta alla selezione di patogeni meno virulenti perché per perpetuare la trasmissione è fondamentale che l’ospite sia in condizioni abbastanza buone da potersi riprodurre (Fries e Camazine, 2001). Nel caso specifico la colonia di api deve rimanere abbastanza forte da poter generare gli sciami e i fuchi infetti che assicurano la perpetuazione del virus. Il virus delle ali deformi può inoltre essere trasmesso alla prole per via alimentare essendo secreto tramite le ghiandole ipofaringee (Yue et al., 2007; Yue e Genersch, 2005). Ambedue le vie di trasmissione non generano sintomatologia clinica evidente né nelle api né a livello di colonia (rivisto in De Miranda e Genersch, 2010). La trasmissione mediata da vettore invece genera un quadro patologico grave il cui sintomo più evidente sono le deformazioni delle ali e del corpo delle api, ma sono anche alterati vari processi fisiologici (Gisder et al., 2009; Möckel et al., 2011). L’arrivo di Varroa destructor in un’area precedentemente indenne nel giro di poche stagioni aumenta drammaticamente la diffusione del virus delle ali deformi, portando ad essere infetta la totalità delle colonie e selezionando nel tempo i ceppi in grado di sfruttare l’acaro come vettore biologico (Martin et al., 2012). Laddove l’infestazione da varroa è ormai consolidata e tutte le colonie sono infestate, il virus si presenta costantemente in associazione col loro vettore (Di Prisco et al., 2011; Genersch, 2005). La sindrome perciò è data dall’azione combinata del virus e della varroa, che hanno stretto un’intricata relazione per molti versi ancora da chiarire. Le conoscenze fin qui acquisite evidenziano l’importanza della dinamica virale nel meccanismo patogenetico di Varroa destructor. I virus generalmente danneggiano gli alveari alterando il comportamento delle api e accorciandone la vita. Se solo poche api sono colpite, la colonia può compensare le perdite e recuperare dall’infezione. Se invece la malattia virale assume un andamento epidemico e l’apporto delle api non funzionali e morte precocemente non può più essere compensato, l’alveare rapidamente collassa e muore. L’importanza del fattore virale è stata dimostrata in Gran Bretagna, dove solo nei primi anni dall’arrivo della varroa gli alveari riuscivano sopravvivere nonostante forti cariche parassitarie (Carreck et al., 2010). L’osservazione peraltro comune agli apicoltori di varie parti del mondo, in cui le api nei primi anni dall’arrivo della varroa hanno tollerato delle cariche parassitarie ben maggiori a quelle compatibili con la sopravvivenza negli anni successivi (Boecking e Genersch, 2008; Le Conte et al., 2010). L’associazione tra vettore e patogeno virale è stata studiata anche in termini quantitativi individuando le soglie di carica parassitaria oltre le quali l’infezione virale assume un andamento epidemico all’interno delle colonie. Il meno virulento virus delle ali deformi ha una soglia epidemica attorno alle 6 varroe per 100 api mentre risulta nettamente più alta (circa 10%) quella del virus della paralisi acuta (ABPV) (Sumpter e Martin, 2004). Mutazioni del genoma virale (molto frequenti nei virus a RNA come DWV) possono determinare variazioni della soglia di danno, ma risultano ancora sconosciuti i fenomeni che determinano la coevoluzione di api, acari e virus (Neumann et al., 2012). Per la difesa sanitaria delle api è quindi parametro fondamentale il rapporto numerico tra ospiti e parassiti, che dipende dalla dinamica di popolazione annuale delle api tanto quanto dalla dinamica di popolazione della varroa. Le strategie di lotta alla varroa dovrebbero tener conto della dinamica virale, ossia basarsi sulle soglie di infestazione oltre le quali i virus assumono andamento epidemico, ma anche tenere in debito conto il tempo necessario per l’abbattimento della carica virale, successivo all’abbattimento del vettore varroa. La determinazione, su base territoriale, delle soglie di infestazione che generano danni agli alveari è uno strumento importante per definire strategie di lotta alla varroa efficaci e adatte alle diverse condizioni che si verificano nel corso degli anni.
Interazione con altri fattori
Vari fattori di stress esterno possono alterare l’equilibrio acaro-ospite-virus. DWV a sua volta sembra esercitare un’azione soppressiva di vari meccanismi legati all’immunità, in particolare sul fattore di trascrizione NF-κB, nonché influendo su vari processi fisiologici e di risposta a vari stress (Nazzi et al., 2012). Varroa trarrebbe vantaggio dalla soppressione della cicatrizzazione del sito di nutrizione. Un’ulteriore conseguenza però consisterebbe nel fatto che vari fattori esterni di stress che competono per l’utilizzo del fattore di trascrizione NF-κB potrebbero causare l’esplosione della replicazione virale. Sono noti alcuni fattori di stress che sembrano provocare l’aumento della replicazione di DWV. Tra questi c’è l’esposizione della covata al freddo (Di Prisco et al., 2011), ma anche l’acaricida tau-fluvalinate (Locke et al., 2012). Nelle regine la nutrizione con polline prodotto da flora trattata con un estere fosforico, solo o in associazione con un fungicida, ha fatto registrare un aumento dei titoli del virus delle ali deformi e del virus della cella reale nera (DeGrandi-Hoffman et al., 2013). Un’altra interazione rilevante tra varroa e pesticidi potrebbe essere connessa al fatto che i favi contaminati con pesticidi prolungano la durata dell’opercolatura della covata e quindi possono alterare la dinamica di popolazione della varroa, incrementando il numero di varroe figlie che riescono a raggiungere la maturità (Wu et al., 2011). L’impatto della chimica nel suo complesso (acaricidi apistici e pesticidi agricoli) con l’associazione Varroa/DWV è ancora in larga parte sconosciuto e rimane un’altra delle ipotesi sul tavolo per spiegare l’abbassamento delle soglie di danno (Gregorc et al., 2012; Köhler et al., 2012). Infine non solo l’inquinamento ma anche la scarsa varietà delle fonti di polline a disposizione delle api è un fattore che espone il sistema immunitario delle api all’azione nefasta del virus delle ali deformi (DeGrandi-Hoffman et al., 2010).
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