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I Sundarbans sono la più vasta area al mondo di foreste di mangrovie, formazioni tropicali di alberi o arbusti sempreverdi che riescono a prosperare a contatto con l’acqua marina. Dei suoi diecimila chilometri quadrati, seimila sono in Bangladesh. Dal 1992 è “patrimonio dell’umanità” dell’UNESCO. Ospita un’immensa ricchezza floreale (334 specie di piante) e faunistica (375 animali). Dalle sue risorse dipende un milione di persone. Il popolo della foresta comprende i Mawali (raccoglitori di miele), i Bawali (raccoglitori di foglie), i Jeley (pescatori), e i raccoglitori di granchi, oltre alle popolazioni indigene Munda, Mahato e Bagdi . Nei primi anni ‘80, sostenute da istituzioni finanziarie e per lo sviluppo, nazionali e internazionali, vennero iniziate grandi colture di gamberi. Queste colture ebbero un forte impatto sui ritmi agricoli e sulla vivibilità nei Sundarbans, sradicando risorse biologiche e strappando le popolazioni dalle terre che potevano coltivare. La popolazione della campagna, sperando di guadagnarsi da vivere, è emigrata verso le città cercando lavori salariati o, peggio, ingrossando le schiere degli disoccupati e degli emarginati. Simultaneamente, parte delle persone sradicate hanno cominciato a spostarsi nella foresta, legalmente o illegalmente, per sopravvivere. Un lacerante conflitto ha diviso i fruitori tradizionali delle risorse della foresta, i nuovi fruitori e il dipartimento delle Foreste a proposito della raccolta di prodotti forestali non consistenti in legname. La popolazione dei Sundarbans, tradizionalmente dedita alla raccolta di prodotti della foresta con permesso legale da parte del Dipartimento Foreste, soffre da vari punti di vista. Non solo l’ accesso, un tempo facile, alla foresta è stato ostacolato, ma le loro vite e la loro possibilità di sopravvivere sono minacciate. I Mawali sono le vittime principali. I turisti che visitano i Sundarbans apprezzano moltissimo il miele locale, ma sono inconsapevoli del sistema ingiusto di raccolta e del travaglio inumano dei mawali per riuscire a sopravvivere. Hanno perso i loro diritti a causa di regole ingiuste, mentre i più poveri e marginalizzati mawali potevano prendere prestiti dai mahajan (prestasoldi tradizionali ) e da ONG che praticano il micro-credito, e davano via la loro raccolta senza questione. I Mawali vendono il loro miele grezzo in contenitori di plastica, a prezzi inferiori a quelli di mercato, e la cera come materia grezza.
Il Bangladesh Resource Centre for Indigenous Knowledge (centro per la conoscenza indigena del Bangladesh o BARCIK) ha iniziato a lavorare in quest’area nel 2001, cercando di capire la situazione di biodiversità, la conoscenza e le pratiche tradizionali, così come i modi e le risorse con cui la popolazione tentava di affrontare le calamità naturali e la spoliazione dell’ambiente. Un progetto ha preso forma nel 2008, centrato sui Mawali e focalizzato sulla conservazione della biodiversità, sui prodotti della foresta che non siano legname e sui mercati ecologici.
Tradizionalmente un gruppo di Mawali è composto da 7-9 persone, con un capo, e si forma per la sola durata della stagione di raccolta del miele. Dopo la raccolta non lavoravano più insieme nello stesso gruppo. Tuttavia, col supporto di BARCIK, i raccoglitori hanno formato 9 gruppi a partire da 81 famiglie, e hanno dato ai loro gruppi I nomi delle piante più importanti delle mangrovie: Sundari, Pashur, Khalisha, Goran, Golgach, Bain, Kakra, Kewra e Dhalchaka. Questi gruppi hanno posto le basi per un lavoro che avesse continuità al di là della stagione del miele, formando un comitato per la gestione cooperativa dei Sundarbans,che vede la partecipazione non solo degli stessi Mawali, ma anche di abitanti della foresta, donne, membri del governo locale, insegnanti, giornalisti, membri del comitato locale per il mercato e del Dipartimento Foreste. Il comitato si occupa anche delle contrattazioni sul mercato e della attribuzione di un prezzo equo al miele, e anche di attività di educazione ecologica nelle scuole. Persino problemi sociali e famigliari possono essere affrontati e risolti da questa congiunzione di sforzi.
Le donne dei Sundarbans hanno una tradizione di raccolta di prodotti della foresta e affrontano una serie di difficoltà, che vanno dagli animali feroci (tigri, coccodrilli e serpenti), all’ingiustizia delle normative, ai rapinatori, al sistema dominato dai maschi. Attraverso BARCIK anche le donne si sono organizzate creando piccole imprese locali dedite al confezionamento di frutti della foresta in agrodolce, all’artigianato, alla produzione di sapone e candele di cera d’api.
BARCIK ha anche iniziato un programma di educazione ecologica con scolari e giovani del popolo. E’ parte del programma la campagna da essi gestita perchè non vengano uccise le api durante la raccolta di miele dalla foresta. E stanno motivando gli indigeni a preservare la fauna selvatica della foresta e ad abbandonare il bracconaggio.
BARCIK partecipa a diverse reti organizzate. E’ già associata con la Keystone Foundation, un’organizzazione non governativa che ha base nel Tamil Nadu, in India, e si occupa dei prodotti della foresta non legati al legname (http://www.mieliditalia.it/index.php/mieli-e-prodotti-delle-api/mieli-italiani/81236-india). Robert Leo and M. Chandran della Keystone Foundation hanno visitato i Sundarbans e hanno tenuto dei seminari sul miele per aiutare i mawali a effettuare la raccolta nei modi più igienici. BARCIK è anche parte attiva nella rete chiamata Madhu Duniya (il mondo del miele), una rete informale di scambio che ruota intorno all’apicoltura e che coinvolge in particolare Indonesia, Bangladesh, Cambogia e Filippine. Ambasciatore di due mieli del Bangladesh, uno di Goran (Ceriops roxburghiana della famiglia delle Rizoforacee) e l’altro di Khalisha (Aegiceras Corniculatum, famiglia delle Myrsinacee), è Pavel Partha. coordinatore per BARCIK del programma per la sicurezza del cibo, laureato in botanica e autore di una ricerca pilota etno-botanica su larga scala. Entrambi i mieli sono prodotti dall’apis dorsata, l’ape gigante indiana, i cui favi vengono raccolti in natura dai mawali. Entrambi i mieli hanno al gusto occidentale una nota fermentata, che evidentemente è ritenuta accettabile sui mercati locali o dai turisti. E’ difficile valutare la stabilità del processo di fermentazione, anche se alcune bollicine indicavano, al momento dell’apertura dei vasetti, che il processo era ancora in corso. Il miele di Khalisha si caratterizza per una sfumatura fruttata sia all’olfatto che al gusto, dove si aggiunge una nota maltata; il miele di Goran risulta più dolce, anch’esso con una nota fruttata leggermente vinosa (per il processo in corso di fermentazione) ed una di castagne, vegetale-amilacea.
La classificazione dei mieli è fatta dai mawali stessi, sulla base di massicce prevalenze floreali in un certo periodo (Khalisha per esempio è una fioritura dominante dalla durata di un mese), confermata dall’esperienza di anni. Il miele è soltanto filtrato. Localmente, ci sono alcuni sistemi empirici per valutare la qualità del miele (sostanzialmente per valutarne il basso livello di umidità): se una goccia di miele, immersa nell’acqua, si scioglie lentamente, il miele è considerato buono; così anche se brucia velocemente.
Raccogliere il miele nella foresta presenta pericoli, tant’è vero che tra il 2010 e il 2012 tra il gruppo dei Mawali ci sono stati quattro morti per attacchi di tigri.