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Il miele egiziano, di cui è per noi ambasciatore Said Aboud Ahmed Abd El Karim, che l’ha prodotto, è stato protagonista di un interessante episodio, all’edizione 2012 di Terra Madre a Torino, in un workshop destinato a confrontare tra loro le diverse culture del miele nei vari distretti del pianeta.
Dieci mieli erano stati scelti tra i più di cento portati in esposizione a questo convegno internazionale delle comunità del cibo. Tra questi dieci mieli, di provenienze molto diverse, e anche molto diversi tra loro come caratteristiche, era stata fatta tra i partecipanti, anch’essi provenienti da culture molto diverse, l’imitazione di un concorso. Normalmente un concorso avviene in un contesto ristretto, dove si condividono i criteri su cui si basa il giudizio. In questo caso ogni partecipante veniva da una cultura del miele molto diversa, e doveva votare un solo miele come il suo preferito, e un altro solo miele come il più lontano dai suoi gusti, il “peggiore”. Quello che è avvenuto è che non c’è stato un solo miele che non abbia trovato almeno qualcuno che lo abbia apprezzato come il migliore, persino mieli che erano stati scelti proprio per le loro caratteristiche estreme (amarezza, gusto insolitamente intenso, leggera fermentazione). Ma il miele che ha raccolto la parte più cospicua dei consensi (senza essere considerato il peggiore da nessuno) è stato quello di Said Aboud, un miele ambrato, dall’aroma caldo, aromatico, leggermente fruttato, presentato in un vasetto piatto a chiusura ermetica e con un frammento di favo che ci galleggiava in superficie.
Questo miele viene dal protettorato di St. Katherine, nel Sud della Penisola del Sinai, un parco naturale in un ambiente arido, montagnoso che però è una riserva di biodiversità sia in termini di ricchezza (numero di specie presenti), sia di endemismo (numero di specie presenti unicamente in quel territorio). Quasi un ponte tra Asia e Africa, il Sud del Sinai partecipa della composizione botanica di entrambi i continenti. La penisola ospita circa 1285 specie, inclusi gli ibridi tra le diverse sottospecie all’interno di una specie, di cui ben 800 (sempre inclusi gli ibridi intraspecifici) solo nella parte Sud. Di esse il 4,3% sono endemiche, e alcune molto rare. 115 specie sono di interesse medicinale.
Said Aboud ha un migliaio di alveari ed è il punto di riferimento degli apicoltori della sua zona. Usa arnie moderne, e quindi il miele è centrifugato. Il favo che galleggia nel miele è un po’ una decorazione, un po’ un’omaggio al piacere tradizionale di succhiare il miele dalla cera. Trasporta gli alveari ad altezze diverse sulla montagna, usando un Pick-Up Toyota molto popolare e diffuso nel Sinai, e a volte, in certe postazioni di montagna è costretto a portare gli alveari a dorso di cammello (4 alla volta).Avendo 20 postazioni, smiela mieli molto diversi tra loro, ma poiché ognuno viene prodotto in piccola quantità li mescola e li vende semplicemente come “miele”, in due periodi diversi della stagione. 9 chili l’anno è infatti la media per alveare nell’area di St. Katherine, una media assai bassa ma in linea con le produzioni egiziane (che vanno da 9 a 15); ma ha anche postazioni in altre aree dove arriva a 18 chili. Per il tipo di cultura del miele che c’è in Egitto, è più importante avere un gusto ripetibile piuttosto che tante varietà. In altre zone, più agricole, è possibile avere dei mieli monofloreali (di agrumi, trifoglio, cotone). Il miele viene consumato poco in Egitto, da mezzo chilo a due chili l’anno per persona. Anche se spesso viene abbinato al pane o alla crema di latte, principalmente è concepito come una medicina, e viene sciolto nell’acqua in ragione di due cucchiai ogni mattina, per una varia serie di problemi, dalla cistifellea al fegato alle ulcere allo stomaco. A fianco del miele ordinario, che Said Aboud vende a 4 euro il chilo, ne ha un altro più specificamente “medicinale” che vende a 28 euro il chilo, e che i clienti gli prenotano fin dall’anno prima da varie zone dell’Egitto.
Dice che è il miele di Zaarour, che è poi il biancospino, e cita uno studio di Aida A. Hussein, Miran K. Rakha e Zohour I. Nabil della Università del Canale di Suez a Ismailia, dove si mostrano (usando un modello animale) gli effetti benefici del “wild honey” sulle aritmie cardiache. “La gente è molto malata, in Egitto” commenta Sara El Sayed, “e cerca soluzioni tradizionali, alternative: abbiamo un’alimentazione molto pesante e soprattutto col cibo di strada ingurgitiamo tossine”.